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Il Papa torna in Vaticano, la tappa a Santa Maria Maggiore - ANSA
Un filo mariano lega con premurosa discrezione, ma anche con effettiva presenza, i 38 giorni di degenza del Papa al Policlinico Gemelli. Un filo che si è palesato, infine, in tutta la sua forza, proprio nella domenica in cui Francesco ha potuto finalmente tornare a casa.
Il Pontefice che non vedevamo di persona da oltre un mese (con la sola eccezione della foto distribuita domenica 16 marzo) è tornato in pubblico al momento dell’Angelus, preghiera mariana che tradizionalmente recita affacciandosi alla finestra del Palazzo Apostolico. Ma soprattutto, subito dopo aver lasciato l’ospedale, si è recato a Santa Maria Maggiore, per offrire alla Madonna un omaggio floreale che dice molto di più dei semplici fiori.
La Basilica Liberiana è, lo sappiamo bene, luogo bergogliano per eccellenza nella città di Roma. Il Papa ci è andato più di cento volte, ormai, inaugurando questo speciale “rosario” di visite all’indomani della sua elezione e implementandolo continuamente prima e dopo i suoi viaggi apostolici in tutto il mondo, e poi l’8 dicembre e in altre occasioni. Là c’è l’icona della Salus Populi Romani, cara al suo cuore quanto la Vergine di Lujan, faro mariano di tutti gli argentini. E là ha già disposto di voler riposare quando il Signore lo chiamerà a sé.
C’è dunque in quella sua scelta a sorpresa – che dice anche della sua ferma volontà di non cambiare stile pure in questo frangente di grande fragilità della sua esistenza – una concentrazione di significati e di simboli, che affascina.
C’è la gratitudine alla Madre celeste, che certamente lo ha protetto (come già fece con Giovanni Paolo II al momento dell’attentato) soprattutto nei due momenti in cui, come ha ricordato sabato il professor Sergio Alfieri, Francesco «è stato in pericolo di vita», durante la maxidegenza. C’è l’affetto per la Vergine di un Papa padre di tutti fedeli del mondo, che però si riscopre continuamente figlio e proprio per questo può dare testimonianza ancora più fulgida della sua paternità spirituale. Ma c’è anche l’esplicitazione di una spiritualità – anche questa profondamente mariana – del Papa venuto dalla fine del mondo. La spiritualità del cammino e del viaggio, si potrebbe dire.
Il Papa che apre processi e che invita la Chiesa a porsi in uscita, sull’esempio della Vergine che senza indugio si recò ad aiutare sua cugina Elisabetta in gravidanza, è il Papa che va incontro a tutti coloro che hanno bisogno. Alla fine, si può vedere in questa ennesima visita a Santa Maria Maggiore anche la considerazione della degenza alla stregua di un viaggio. Un itinerario “apostolico” dentro la sofferenza umana e la fragilità sperimentata in prima persona, sulla propria pelle. Viaggio faticoso e pericoloso quanto altri mai, in cui però papa Francesco ha sempre sentito al suo fianco la presenza e il sostegno di Maria, Colei che sta sotto la croce e aspetta il momento della risurrezione, anche quando altri non sperano più (e a proposito di simbolismi, colpisce la coincidenza che il ricovero del Papa sia avvenuto di venerdì e la sua dimissione dall’ospedale di domenica).
Sì, c’è un filo mariano che lega i 38 giorni di degenza. Un filo passato attraverso la recita quotidiana del Rosario per la salute del Pontefice, ininterrottamente dal 24 febbraio scorso. Prima in piazza San Pietro, poi nell’Aula Paolo VI durante gli esercizi spirituali della Curia nell’Aula “Paolo VI”, quindi di nuovo in piazza San Pietro fino a domenica sera, 23 marzo. Un filo annodato anche con la voce stanca del Papa, nel suo breve audiomessaggio del 6 marzo scorso, trasmesso proprio in occasione del Rosario serale. E poi intessuto con i testi dei sei Angelus che Francesco non ha potuto pronunciare di persona in questo periodo, ma che sono stati diffusi per iscritto. Un filo che, come abbiamo visto, porta direttamente a Santa Maria Maggiore.
Su quel filo, il Papa dei gesti ha scritto, insieme con la Chiesa orante tutta intera, una delle sue catechesi più belle. Dimostrando a tutti che quanto leggiamo nel canto di San Bernardo della Divina Commedia non è solo l’invenzione di un sommo poeta, ma una verità della fede cristiana: «Donna, se’ tanto grande e tanto vali,/ che qual vuol grazia e a te non ricorre,/ sua disianza vuol volar sanz’ali».